Stefano e Quartiere 3 – Artigianato e social, il mix perfetto

Attenzione: L’ articolo è lungo, ma vale la pena di leggerlo tutto, perché Stefano è un one man show da cui prendere esempio e sentirsi spronati per migliorare la propria posizione sui social media

La bussola del me bambino punterebbe ad inseguire un sogno che ti faccia sentire libero pur essendo impegnato nel tuo lavoro e seguirebbe la strada più difficile e non la scorciatoia.

Quando mi trovo a lavorare con gli artigiani, lo scoglio più difficile per loro sono sempre i social: faticano a dar soddisfazione e ci vuole tanto impegno. Per questo motivo per le mie “Interviste Bussola” questa volta ho deciso di fare una chiacchierata con Stefano Arrighetti, giovane artigiano di Firenze che con il suo brand di borse, Quartiere 3, come la zona dove è nato, è riuscito a crearsi non solo una community che supera 20k followers in crescita costante, ma anche ad avere un coinvolgimento (engagement rate) del 5.72%. Un bel po’ superiore alla media.

«Sono andato al comprensorio di Scandicci dove la pelletteria era la più richiesta e ho frequentato un corso breve che ti dava delle basi e che puntava ad inserirti a lavorare all’interno dei grandi brand – racconta Stefano – Ho provato a lavorare per loro e non riuscivo mai ad andare oltre il contratto che proponevano, perché essendo inserito in una catena di montaggio non riuscivo a vedere la mia vita in quella maniera. Mi piaceva l’idea di poter realizzare delle cose dal niente, ma mi piaceva l’idea di poterlo fare completamente in tutti i passaggi: dal disegno, passando alla realizzazione del modello fino alla creazione. Uno dei momenti in cui non avevo contratto, quasi per scherzo, ho deciso di farmi uno zaino che poi ho notato che piaceva alle persone e allora mi sono detto ”Perché non provare a farne degli altri?” e piano piano ho cercato di indirizzare gli investimenti in modo da potermi comprare delle attrezzature e via via insomma sono andato avanti. Ho avuto la fortuna di incontrare lungo la mia strada, al campeggio che frequento, Rodolfo. Un artigiano in pensione che è cresciuto affiancando Gucci e che era capace di far tutto. Mi ha dato un po’ di basi che mi sarebbero servite per partire spronandomi e riconoscendo in me del talento che non avrei dovuto sprecare. Da lì ho iniziato a farlo diventare il mio lavoro e sono 6 anni che lo faccio».

Nella sua biografia sui social si può leggere “Ho trovato la mia libertà chiuso nelle 4 mura del mio laboratorio” e questa sua passione nel lavoro non è solo una frase fatta, è un qualcosa che riesce a trasmettere a tutti quelli che lo seguono sui social «Sto utilizzando i social per fare un qualcosa che già facevo durante le fiere cioè mostrare, mostrare, mostrare quello che c’è dietro anche all’artigianato in generale. Ormai è difficile che le persone si fidino: vedono una borsa, tutta in pelle in cui c’è scritto “artigianale” ma finisce lì, non può bastare più quello a far capire alle persone tutto quello che c’è dietro. Per questo nei miei account parlo anche dalla ricerca dei materiali, dei fornitori, senza dimenticare di quello che è la costruzione, del perché faccio certi passaggi o certe scelte. Instagram e Facebook mi hanno aiutato nel far percepire il valore degli oggetti in modo che poi le persone possano valutarne il prezzo in un’altra maniera. Certo non potrai interessare a tutti, perché determinate persone si fermano purtroppo solo al prezzo sul cartellino, però altre si lasciano coinvolgere da questo e provano anche piacere nel vedere cosa c’è dietro alla costruzione di una cosa, come mai ci sono certi dettagli: come ad esempio l’applicazione di un nastrino dentro che serve affinché la borsa si rompa il più lontano possibile; già questo potrebbe essere un punto di differenza rispetto ad una borsa trovata al banco di un mercatino in centro a 40€ vera pelle. Cerco di spiegare a chi mi segue che pelle utilizzo, perché questa pelle ha dei difetti. Insomma io utilizzo i social come se fosse una fiera con un pubblico infinito ». 

La strada più difficile è decidere di vendere anche sui social, mentre la strada facile fino ad oggi era il centro storico e oggi dopo il lockdown non lo è più, anche se sono convinto che il centro ripartirà magari anche in maniera più forte di prima, però a questo punto si è imparato che potrebbe non bastare

Anche se Stefano sui social è molto bravo, nemmeno per lui sono una passeggiata «Fare le borse è la cosa semplice, i social sono la parte difficile – ride – anche se ad oggi sono indispensabili. Soprattutto dal primo lockdown, sono stati lo strumento che mi ha salvato completamente sennò ad oggi non ci sarebbe stata storia, anzi ti dirò di più, mi hanno permesso di migliorare dal punto di vista della vendita. Però, non lo nascondo, è completamente un secondo lavoro. Io faccio una borsa in meno al giorno per poter però essere presente con i social. Per farli funzionare si deve dedicare loro il tempo esatto del lavoro: lo stesso tempo e lo stesso impegno che dedico alle borse, lo devo dedicare ai social altrimenti non funzionano».

Eppure chiunque si sia messo con i social almeno una volta sa che, almeno inizialmente, non riescono a darti soddisfazione. Tu posti e non succede niente, pochi ti seguono, pochi ti mettono like e ti viene da mollare tutto e tornare nella tua comfort zone, lì dove sei stato abituato fino ad ora. Ma è proprio nel momento in cui sembra che le soddisfazioni tardino ad arrivare, che bisogna non mollare e continuare con costanza e voglia.

«I social li ho portati avanti piano piano, affiancandoli a quello che in quel momento mi portava più soddisfazione come le fiere, li vedevo come un affiancamento a quello che uno fa normalmente. Poi la chiave di svolta è stato il lockdown, perché mi ha fatto capire che l’unica mia salvezza potevano essere i social e ho anche investito in corsi di marketing per cercare la strada che poteva essere più adatta a me e a quel punto ho cercato di trasformarlo in un secondo lavoro e anche come unica via di salvezza per il mio lavoro, altrimenti lo vedevo a rischio fine come purtroppo tanti hanno fatto».

In questo momento i social sono un possibile forte strumento di vendita, senza costanza, senza perderci tempo non funzionano quindi è quasi inutile mettersi lì per fare un post, per fare una storia di una foto ogni tanto.

Stefano racconta, non si tira indietro, ci mette la faccia e ha un rapporto con la sua community diretto e di fiducia, non limitandosi solo alle foto di prodotto, ma anche a video dove è lui in prima persona a mettersi in gioco e a quei colleghi che gli dicono “ma perché mostri tutto, non hai paura che ti rubino le idee?” risponde « A me non interessa perché se non lo faccio, non mostro e racconto, le persone poi non capiranno e non apprezzeranno i miei prodotti» .

E non è facile sapere cosa pubblicare, la via più semplice è sempre quella di pubblicare il prodotto finito. Lo still life, bello, perfetto, la conclusione di un percorso che però rimane personale, dell’artigiano e che, in questo modo, non viene condiviso con chi ci segue e potrebbe acquistare.

«Inizialmente l’errore di pubblicare solo la borsa finita lo facevo anche io. Avevo fatto l’errore di non valutare i social come un mondo dove le persone ci sono dietro e hanno piacere di vedere qualcosa, di capire qualcosa e di essere stuzzicate a livello di interesse e questa cosa appunto, l’ho capita anche con l’aiuto di persone del settore. Dal momento in cui ho capito che i social potevano essere uno strumento valido se lo avessi utilizzato come se i followers fossero una persona che entra nel mio laboratorio o raggiunge il mio banco durante una fiera, è cambiato tutto. Ho notato che vedendo e mettendo in luce tutto, il più possibile, quello che c’è dietro, le persone si fidano e una volta che si fidano è più facile che acquistino. Ultimamente il trend dice di dover spingere più sul lato personale, però quella è una cosa che io non riesco bene a fare. Secondo me l’importante è seguire quello che uno si prospetta; perché utilizzo i social? Perché devono servirmi a valorizzare il mio lavoro, punto».  

Ma cosa pubblicare?

«I contenuti che funzionano meglio sono quelli in cui mostro la realizzazione degli oggetti, faccio vedere i passaggi, magari spiego anche i motivi dietro ai passaggi, cerco di esporre anche tutte quelle che possono essere le difficoltà, gli errori , gli sbagli, e soprattutto il motivo per cui faccio quello che faccio, perché ho scelto di creare un brand artigianale, come lo faccio, cosa provo mentre lo faccio. Esporre un po’ tutto quello che sono anche i tuoi sentimenti nei confronti del tuo lavoro per far percepire come viene realizzata una borsa; perché io posso mettere una foto con scritto “realizzato con passione”, però è finita lì devo spiegare perché c’è passione, per quale motivo mi genera un sentimento fare questa cosa, perché io posso stare nel mio laboratorio due giorni di fila e sto bene. Tutte queste cose generano nelle persone un qualcosa che poi li porta ad acquistare».

La produzione serve se la si può vendere. Io ad oggi, grazie ai social, ho quasi girato la produzione in base agli ordini che ricevo: ordine-produzione-ordine

Ed è vero noi che lavoriamo nel settore del marketing e dei social, quando facciamo lezione, ma anche con i clienti, diciamo sempre quanto sia fondamentale avere un piano editoriale, ma più mi confronto con artigiani e piccole imprese più mi accorgo che forse non dobbiamo essere così rigidi, ma che dobbiamo essere in grado di adattarlo alla personalità di chi abbiamo davanti, soprattutto se funziona, guardate Stefano ad esempio «Purtroppo non riesco ad seguire un piano editoriale ed è una cosa che dovrai imparare a fare, ma ancora non riesco, non riesco a seguire tanti schemi a livello social. Capisco l’importanza, anche grazie ai corsi che ho fatto, però per me al momento non funziona. Io prendo quello che sembra interessante e lo rivisito in una chiave mia, senza stare a seguire alla lettera la ricetta. Anche se mi rendo conto che a volte, questo aver trasformato il profilo da semplice vetrina di quello che faccio a raccontare qualcosa di quello che è il farlo, mi limita adesso nel mostrare alcuni prodotti, limitando un po’ il discorso vendita. Questo perché le persone comprano esclusivamente quello che vedono; potrei mostrare una borsa, ma non lo faccio perché in quel momento non so cosa raccontare assieme a quella borsa».

Voi che leggete e siete arrivati fin qui e magari siete artigiani starete pensando “si ok, tutto bello, ma io non ho tempo di produrre e anche stare dietro in maniera professionale e con costanza ai social”, me lo avete ripetuto spesso, così ho girato l’affermazione a Stefano chiedendo a lui che vi desse un consiglio.

«Secondo me in un momento come ora la produzione serve se la si può vendere. Soprattutto nell’artigianato in cui io non capisco e tollero i saldi. Per me non esiste fare una produzione nella speranza di vederla, sennò cerco di vederla a saldo, perché secondo me è come distruggere l’artigianato. Io ad oggi grazie ai social, ho quasi girato la produzione in base agli ordini che ricevo: ordine-produzione-ordine e poi naturalmente, in alcuni momenti è meglio riuscire a fare un po’ di produzione in più, però secondo me è inutile produrre se non hai modo di vendere. In questo momento i social sono un possibile forte strumento di vendita, ma senza costanza, senza perderci tempo dietro non possono funzionare quindi è quasi inutile mettersi lì per fare un post, per fare una storia di una foto ogni tanto. Nell’artigianato non c’è verso: devi riuscire a metterci la faccia, se non ci riesci è veramente dura. Le persone si fidano della tua faccia e di quello che gli racconti e spieghi e fai vedere, altrimenti sei al pari di tutti gli altri grandi o piccoli brand che in realtà questa cosa è l’unica cosa che non possono dare. Gli altri possono dare prezzi favorevoli, più pubblicità ed investimenti. Tu unica cosa che puoi offrire che loro non possono è dare una persona come punto di riferimento e dar loro le emozioni che un brand non artigianale non può andare».

Firenze e Venezia due città d’arte, che vivono di turismo e che si sono trovate dopo il marzo 2020 ad essere travolte dal silenzio, dalla mancanza di turisti che affollavano le nostre vie e che entravano, senza dover fare molta fatica, dentro i negozi. Su 100 turisti di bassa qualità, ne trovavi di buoni che capivano l’artigianato e ti acquistavano. Ora, anche se il turismo sta tornando a bussare alle nostre porte, buona parte di quei turisti di qualità li trovi online e tutto l’anno. «Io ho notato che chi ha magari un’attività da tanto e che ha vissuto nel e di turismo, ha avuto la strada sempre abbastanza facile come tipo di vendita, mentre l’online è molto più difficile, nel senso che per poter funzionare con una vendita online, lo sforzo è moltissimo. Una volta aperto il sito non succede niente, devi starci dietro con costanza e capisco che non è una cosa semplice e che tanti si limitano e non vanno un pochino oltre. A questo punto mi viene da dire che la strada più difficile è decidere di vendere anche sui social, mentre la strada facile che fino ad oggi era il centro storico e dopo il lockdown non lo è più, anche se sono convinto che il centro ripartirà magari anche in maniera più forte di prima, però a questo punto si è imparato che potrebbe non bastare. Non voglio mettermi in testa che i social siano l’unica strada, bisogna sempre avere due strade pronte e questa situazione l’ha dimostrato in pieno. L’artigianato è un qualcosa che ha la fortuna di poter mostrare, una grossa azienda una lavorazione completa è difficile che riesca a mostrarla e soprattutto mostrandola non riuscirà a trasmettere quello che può trasmettere un artigiano».

1080 734 Sara Prian